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venerdì 15 dicembre 2017

Diapason. Vincenzo Merola e Alighiero Boetti a Bologna


Domenica 17 Dicembre 2017 alle ore 17.00, presso la Galleria Stefano Forni di Piazza Cavour 2 si inaugura la mostra Diapason. Vincenzo Merola e Alighiero Boetti a cura di Valerio Dehò. Una mostra personale del giovane artista molisano Vincenzo Merola in dialogo con alcune opere del maestro Boetti.

Il lavoro di Vincenzo Merola – scrive Valerio Dehò nel testo in catalogo - si articola lungo due direttrici ben delineate: il rapporto parola e immagine e una ricerca che porta l’arte a relazionarsi con l’universo delle regole atematiche e delle permutazioni, con l’aleatorietà e la ricerca di quella “casualità intelligente” che ha operato lungo tutto il corso del secolo scorso. Quando lavora con le parole segue il flusso della ricerca legata alla Poesia concreta da un lato, mentre dall’altro guarda al concettuale americano ma filtrato dall’ironia di Alighiero Boetti. La ricerca verbo-visiva esiste da troppi anni perché si possa esaurire in qualche generazione, anzi appare sempre di più un fenomeno strutturale della cultura, anche e soprattutto oggi in cui il linguaggio iconico e verbale sono fusi nell’idioletto digitale.
Merola ha presente le leggi del concretismo rendendole ancora più cariche di grafismi da una parte e di concettualità dall’altra. Cioè il testo non è tutto ma la sua scansione, l’articolazione delle singole lettere e la specularità che spesso raddoppia e moltiplica il sintagma verbale, fanno parte di un processo di codifica. Vi è la forza della sentence e la grazia di un’impostazione grafica che condivide con il mondo della comunicazione. Alighiero Boetti certamente è stato una dei grandi protagonisti della parola nell’arte anche nel recupero della scrittura e dei grafemi. La penna a biro usata come uno strumento per dipingere e disegnare probabilmente è una sua invenzione, tra le tante che ci ha regalato. E aveva capito, si pensi agli arazzi, che le parole formano un tappeto steso ai nostri occhi che invita a viaggiare e a muoversi con la mente. Merola riprende questa filosofia e la porta dentro una contemporaneità che è fatta di decorazione controllata dal linguaggio, il concettuale nudo e crudo ha smesso di mandare segnali di vita. Con lui si avverte da parte di un giovane artista l’esigenza di confrontarsi con la tradizione ma anche quella di andare avanti. La manualità diventa fondamentale, come la precisione dei segni e delle righe che gareggiano con i barcode e che rivelano la loro anima ossessiva di un vero e proprio esercizio di stile. Solo quando usa i timbri inchiostrati deroga alla fattualità del segno per approdare alla ripetitività del gesto. Ma anche qui ritornano gli addensamenti e le rarefazioni, il vuoto e il pieno in un ritmo di dissonanze e consonanze che è tutto visivo e coinvolgente. Merola gestisce le sue opere come partiture, le controlla e le affida al Caso come se non accettasse fino in fondo il proprio ruolo di artista-demiurgo. Si ferma prima, sulla soglia della decidibilità. Prima di entrare in conflitto con il suo ruolo creativo, ma accettandone le aporie.

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