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domenica 28 aprile 2013

Impressioni in forma poetica dal rifugio di Moulin




Il fiore della mia vita poteva sbocciare da ogni lato
ma un vento aspro ha impedito la crescita dei miei petali
proprio sul lato che voi nel paese riuscivate a vedere
Edgard Lee Master

La valle scende come una gola che è sentiero e letto, scende lungo i massi fino al bordo, rotolando come ventre. Le rocce intorno hanno forme addormentate e guardano in che modo il silenzio sosta col vento e si mette a danzare. E’ anche mio questo voler saltare a tutti i costi oltre il limite della terra che cade. Qui su non c’è forma o petto, solo un sottile graffio che incide nel solco delle ossa il ricordo di una vita dolce come rosa. Non guardo per non volare, e sento insieme la colpa e l’assenza e uno spento suono che sa di liquide zampogne, un suono che mi guarda come il canto dei dannati. Ma la luce qui è soprattutto perdono e forse redenzione per chi col cuore aveva perduto se stesso. La capanna è pietra trafitta di rami e silenzio, perimetro di fiato e silenzio, ombra di muschio e silenzio, e tronchi e spine con la visione di un cavalletto storto che pare piegarsi ad ogni frastuono più forte del tocco di una foglia che cade. Ispirazione e luce e supremo confine dove con la morte è anche bello giocare a nascondino tra i sentieri, mentre gli animali hanno anime parlanti. Il colore che non si può fermare, la luce, oppure entrambi mischiati nella volontà di portare a termine la creazione ininterrotta degli occhi poiché il lampo non viene dalle muse. L’ispirazione è visione, prima, e poi contemplazione infinita sulle prime cose. Da qui in alto la linea dell’orizzonte è troppo ampia da contenere ma guardando e avendo la totalità dello spazio sembra quasi di possedere il tutto e solo allora si sente, come vincolo, l’insufficienza delle norme e la mancanza di leggi. Perché qui la mente di svuota e il bordo dei pensieri è sostituito dall’orrore sacro di un’immensità che non si misura. Mistero tremendo è la luce del sole, così vicina a Dio da apparire oscura, notte oscura tra le querce e i richiami di animali dalle sembianti d’ombre. Tra le pareti che premono sulle tempie, l’afa, l’altezza e l’aria rarefatta come pastello, e il sapersi in bilico tra esistenza e amore, ogni granello di polvere che filtra e si posa velando la vista è come un’epifania incompleta. Colui che vede se stesso. Colui che appare a se stesso disarmato e inerte, mentre come ebete ride del riso saggio dei folli. Bisognerebbe comprendere allora l’idea di santità per violare l’eccesso della concezione. Perché i santi si possono amare e perdonare quando hanno accenni improvvisi di estati e infinite ore di tormento, perché i santi si possono pur pregare dove i loro luoghi diventano eremi e si caricano della vitalità del divino. Ma queste quattro mura circondate dalle radici della montagna non sono cella o convento, non sono passaggio o trionfo, sono solo e soltanto opera e stanchezza. Divina allora è l’illusione e la ricerca, dove la privazione rende oro la bava di una lumaca o lo stormire delle foglie: solo allora l’illuminazione scava ponti tra le pieghe del petto, la mano obbedisce all’idea e l’occhio insegue l’attimo per infiniti attimi. Solo allora il colore può diventare sostanza del creato per confidare alle tele e ai cartoni ciò che non riusciamo a scorgere. “San Giuseppe da Copertino, guardiano di porci, si faceva le ali frequentando la propria maldestrezza e le notti, in preghiera, si guadagnava gli altari della Vergine, a bocca aperta, volando. I cretini che vedono la Madonna hanno ali improvvise, sanno anche volare e riposare a terra come una piuma. I cretini che la Madonna non la vedono, non hanno le ali, negati al volo eppure volano lo stesso, e invece di posare ricadono”: ecco quindi che ogni impacciato concetto è una caduta senz’ali, un volo a precipizio verso l’eccesso che appesantisce le forme, verso il velo che ricopre le mani e i volti e ce li mostra come già cadenti. Le notti passate a implorare sugli altari dei ricordi una costrizione che sapeva d’amore. E banalmente amore doveva essere stata la sola visione che ti aveva scaldato il cuore e l’impressione, e ti aveva portato per i sentieri lenti della forma e dello sguardo. Emilie forse si chiamava il sogno verde dei disperati. Era ricca e sapeva disegnare le rose e le case quando a Parigi le damigelle sceglievano volti africani e i bordelli diventavano filosofici. Emilie era un soffio d’albero lento come un tramonto ma l’eccesso della pittura e del simbolo consuma e annulla, e quando avevi capito la distanza tra lei, te e il mondo era sparita lasciando vuoti densi come universi. Cercata e amata mille volte, mille volte usata per fare l’amore e poi smarrita perché perduta in un’assenza spietata e sola. Ma lo sguardo della donna amata non può che essere egoismo, mentre il colore ottenuto con verdi intensi e rossi di bacche e polveri sottili di sputo e di fango non può non accedere all’anima ed allora l’innamoramento diventa un lungo sogno col quale combattere ogni volta che dal rifugio una goccia scende e si posa sul naso. Ma quando poi ci si annoia della sconfitta, e la nostalgia è più distante della tensione, allora si può abbracciare l’intera vita umana per tramutarla in concetto. Gli ideali, le vite immaginarie, la resistenza e l’assenza: lì era un’immensità di fronte alla quale l’uomo non contava più. I giganti della montagna hanno braccia troppo grandi per maneggiare pennelli; dalla loro cresta vedono due mari, e le albe e i tramonti vorticare come fiamme. Nella distesa invece c’è la pace delle oscurità e della neve, e sentieri d’acqua e foglie dove anche le feci dei pascoli hanno la maestà dei tumuli. Le erbe si mischiano tra loro e fanno essenze senza sfiorarsi; dai picchi ogni aquila è viandante. Il meriggio dei pensieri allora è fuoco quando i raggi picchiano nelle tempie e il cervello pulsa quasi a voler uscire. La poca aria non fa resistenze a quelle forze nere che premono mani ossute sopra le ciglia e ogni giorno è lotta contro demoni meridiani. E la lotta è lunga anche contro la distanza che sulle mani crea incrostazioni di pieghe e solchi mentre il pensiero, alla ricerca dell’oltre, si perde ancora per viaggi e premi di Roma. Il cuore resta inciso al primo stato, forse una volta soltanto e per così pochi millimetri che ogni sussurro spezzerebbe la traccia, mentre l’acido che cola sembra avere essenze di petrolio. Ma qui oli e colle non si legavano con le pietre ed ogni bastoncello colorato nasceva per lento accumulo di frammenti. Qualsiasi azione qui è meditata, ciascun ricordo soppesato sulla bilancia della Croce dove Cristo giudice è severo e dolce come nel volto della Sindone. Quante domande e lacrime da confidare alla barba e quanti sospiri spezzati dal rumore dei cervi e dei lupi. Emilie è un sogno al quale chiedere ogni notte una stella sulla fronte, e un bacio, e poi un conforto prima del grande salto, quello che si fa ad occhi chiusi dall’immaginario picco della pittura per scordarsi dell’esistente. Domani nella battaglia pensa a me, pensa alla rincorsa affannosa sulle trame delle tele dove trasparenti pepli nascondono alla carne il presente ma dove la luce è ultramondana e buca come ruggine lo sguardo. Mentre scendevo ho smarrito gli occhiali. Ho perso la vista o la visione? Per ammirare profondamente le tue polveri colorate bisogna abbandonarsi al pensiero; l’essenza delle cose va oltre l’apparenza sensibile. Per guardare in faccia il mondo o anche solo il frammento d’un quadro c’è bisogno dell’anima e del cuore. L’amore lo si dovrebbe cercare e trovare solo in quest’assenza e non nell’abitudine del rimorso. In città tutto va avanti come se nulla fosse, e anche il tuo volto ora è scavato dal distacco: volto severo di parigina affannata nella ricerca di lampioni ad arco. La città multicolore creata dai lumi che non essendo luce disintegrava nel cubo le forme mentre tra questi passi, durante la resistenza, qualcuno è divenuto realmente luce morendo per amore. Avvenne poco dopo che il rifugio fu bucato dal fulmine, prima che le sue pietre servissero alle trincee tedesche. Il fulmine poi non è mai attratto dal disordine o dal caos, cerca sempre un punto dove scaricare la sua folgore. Se, prima di scendere malato e trafitto, è voluto cadere nel mezzo del tuo metro di vita era perché, in quell’attimo infinito come galassia, ti si dovevano mostrare tutti i colori dell’Iride come li ha concepiti Dio nella purezza dello spazio divino. E quei colori che sfuggono e si perdono sono poi diventati amore. Amore è forse proprio questa pace che non consuma, questo prendersi cura delle miserie altrui. 

Tommaso Evangelista


giovedì 18 aprile 2013

Sergio Lombardo - NEW AUTOMATIC COMPOSITIONS OF STOCHASTIC FLOORS



"NEW AUTOMATIC COMPOSITIONS OF STOCHASTIC FLOORS"

Mostra personale di

SERGIO LOMBARDO

con opere recenti su carta
20 aprile / 9 maggio 2013

Inaugurazione della mostra sabato 20 aprile 2013 alle ore 19.00 con la partecipazione dell'artista

Officina Solare Gallery
Termoli, Via Marconi 2
Informazioni: 329.4217383, www.officinasolaregallery.com.

Sergio Lombardo è nato a Roma il 1º Dicembre 1939, dopo gli studi classici e di giurisprudenza si è dedicato alla ricerca artistica e alla psicologia sperimentale dell'estetica.Artista dell'avanguardia storica internazionale e della Scuola Romana degli anni Sessanta. È fondatore della Teoria Eventualista, da cui è nato un movimento artistico e teorico basato su metodi sperimentali. Il suo lavoro artistico è caratterizzato da programmatica discontinuità e può essere raggruppato in periodi o cicli ben distinti: Monocromi (1958 – 1961); Gesti Tipici (1961 – 1963); Uomini Politici Colorati (1963 – 1964); Supercomponibili (1965 – 1968); Sfera con sirena (1968 - 1969); Progetti di Morte per Avvelenamento (1970 - 1971); Concerti di Arte Aleatoria (1971 – 1975); Specchio Tachistoscopico con Stimolazione a Sognare (1979); Pittura Stocastica (1980 - 2012); Pavimenti Stocastici (1995); Mappe (1996 - 2002) 
Ha esposto presso il Museo Nazionale d'Arte Moderna di Tokyo (1967), il Jewish Museum di New York (1968), il Centre Georges Pompidou di Parigi (1969, 1995), i musei di Mosca, San Pietroburgo, Varsavia, Stoccolma, Johannesburg. Nel 1970 è presente con una sala personale al Padiglione Centrale della Biennale di Venezia. Del 1995 è la retrospettiva al Museo d'Arte Contemporanea dell'Università "La Sapienza" di Roma .

domenica 14 aprile 2013

Achille Pace e il Premio Termoli


Dalla pagina facebook di Achille Pace propongo questo scritto condiviso dal maestro circa le motivazioni che portarono il premio Castello Svevo a diventare Premio Termoli, tra i Premi più interessanti in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta.

COLGO L' OCCASIONE PER PUBBLICARE IL MIO SCRITTO DI PRESENTAZIONE AL CATALOGO DEL V PREMIO TERMOLI DEL 1960 PER RISPONDERE ALLE NUMEROSE DOMANDE SULLE MOTIVAZIONI E SUI CONTENUTI DELLE MOSTRE DEL PREMIO TERMOLI. RISULTERA' CHIARA LA MIA IDEA DI SEGUIRE ATTRAVERSO LE VARIE EDIZIONI DEL PREMIO TERMOLI UNA LINEA STORICA EUROPEA CHE TESTIMONIASSE E TENESSE CONTO DELLO SVILUPPO ARTISTICO CHE HA AVUTO LUOGO DALL'INIZIO DEGLI ANNI SESSANTA AI NOSTRI GIORNI.

1960: 5^ edizione della Mostra di Termoli.
Ma più che il fatto anagrafico, quest'anno è importante soprattutto sottolineare che la nostra Mostra ha ottenuto giuridico riconoscimento da parte dei Ministeri dell'Industria e della Pubblica Istruzione che, con Decreto 1 Dicembre 1959, l'hanno inclusa tra le manifestazioni artistiche nazionali.
Un ciclo si compie, un secondo se ne apre -
Si apre un nuovo ciclo caratterizzato dal generoso sforzo di attirare verso il Premio " CASTELLO SVEVO" l'attenzione delle vene più vitali dell'Arte contemporanea, di liberare la mostra da tutte le deteriori preoccupazioni campanilistiche, di aprire la manifestazione a tutte le voci dell'arte e della cultura, di superare ogni residua mentalità provincialistica , di doppiare lo scoglio della polemica tra vecchio e nuovo , tradizionale e d'avanguardia, classico e moderno, di tentare di fare della Mostra una rassegna organica in cui orientamenti e scuole , tentativi ed indirizzi , cenacoli e correnti , trovassero il loro giusto posto e la loro rigorosa considerazione di momenti importanti o essenziali , comunque mai inutili , della vita e della storia dell'Arte.
Si apre un ciclo di orizzonti più ampi di una esposizione che non abusa della qualificazione di mostra nazionale per il livello di artisti partecipanti , per l'impostazione programmatica, per la valorizzazione di ogni studio e ricerca che sia il portato di una viva sensibilità, per la ferma convinzione degli organizzatori di servire , non le correnti, ma l'Arte , di non mortificare le Scuole che accendono e vivificano ideali e studi , ma di non mitizzare particolari orientamenti , se è vero che la storia dell'uomo nella ricerca della verità e della bellezza non permette , ai ricorrenti interrogativi , risposte perentorie e definitive .
Questo complesso di esperienze e prospettive potrà sfuggire solo a chi , visitando la mostra, si pone nella più antistorica delle posizioni ; ossia di chi , ricercando la conferma di un suo ideale di bellezza e non trovandolo , si allontanerà indignato , o di chi , ravvisando concordanze di idee , esalterà il valore della manifestazione, negando nel contempo ogni significato agli altri orientamenti.
Alla storia dell'arte hanno dato contributi fondamentali sia coloro che hanno accolto l'ideale dell'artista creatore di forme di bellezza secondo uno schema fissato in eterno , sia coloro che definiscono la natura creatrice , demiurgica dell'artista che , irrompendo emotivamente sui mezzi espressivi, si crea un suo mondo, anzi attribuisce unica realtà al suo mondo fantastico , sia coloro che senza sovrapporre una propria idea a priori della bellezza o dello spazio, tendono solo a sollecitare dalla materia le forme che essa può dare, stabilendo una inter-azione con essa paghi di suscitare direttamente le immagini di un processo e rifiutandosi di riprodurre indirettamente la rappresentazione di una esterna verità , sia coloro che hanno avuto un senso ironico della vita ed hanno confidato nel significato armonico della natura , sia coloro che cogliendo gli aspetti dilemmatici ambigui , hanno scoperto le fratture, le disarmonie , il mostruoso , ed hanno sconvolto l'ideale classico. Né è inutile sottolineare le fasi che puntualizzano gli ultimi anni della storia dell'arte : l'emergere dell'istanza realista intesa come aderenza tematica ai fatti sociali, l'esigenza di una modernità assoluta di forme , facendo pura astrazione dalla socialità, l'assunzione graduale dell'avanguardia a fatto ufficiale e, poco dopo ,il dilemma tra astrazione e figurazione: infine l'irruzione del movimento dell' "informel", come denuncia di una condizione drammatica di irrazionalità nel mondo moderno; e infine, l'esigenza di superamento di quest'ultimo movimento .
Di tutti questi momenti e di tutti questi orientamenti, una Mostra, per quanto vasta e bene organizzata, può dare oggi soltanto un'idea molto approssimativa.
In questa quinta edizione della Mostra di Termoli, il visitatore di buona volontà ne ritroverà certamente le tracce essenziali e ne trarrà , è augurabile ,stimoli e spunti per le proprie ulteriori meditazioni. (Achille Pace)


LETTERA APERTA di Pierluigi Giorgio in merito al Convegno su Charles Moulin



Leggo un articolo su Charles Moulin e il Convegno sul pittore francese (1869-1960) ad Isernia presso la Camera di Commercio sabato 13. E' già qualcosa! Mi tornano in mente gl'innumerevoli passi snocciolati tra Castelnuovo al Volturno e su per l'erta china di Monte Marrone, spesi nel tempo dal 1990 in poi, alla ricerca delle tracce della saggezza umana del Grande Vecchio. I ricordi di un tempo intenso s'accavallano ad altri ricordi fatti di fascinazione, stupore, densa poesia e malcelato disappunto. Non posso esimermi dopo 23 anni, dal dipanare l'intensa scaletta di promozioni, suggerimenti personali e azioni a favore del poeta del pastello: per lui, per il giusto riconoscimento di un grande saggio e gran pittore, per l'ampia valenza del suo messaggio umano. 

Mi servii del progetto di un documentario per la Rai da girare in loco, "Il Canto della Montagna Rosa", per convincere il Sindaco dell'epoca a far rimettere in piedi il rifugio di Moulin, in modo fedele ai suoi disegni, che inviò nel 1919 a Lille alla sorella. Oggi lo ammetto: fu un pretesto! Per le riprese sul posto, avrei potuto adattare qualsiasi ricovero pastorale ancora integro, ma volevo fosse ricostruito proprio quello, per lasciare una testimonianza dell'artista, concreta, fruibile ai visitatori e agli escursionisti che poco sapevano di lui, delle sue opere, del suo messaggio -oggi più che mai- di pace e rispetto per la Natura e gli esseri viventi. Nel trentennale della morte (1960-1990), proprio quando la primavera si annuncia con tutta la sua potenza rigeneratrice, donai a Castelnuovo una mostra di foto di opere, scritti e articoli di giornali raccolti non solo a Castelnuovo, ma sparpagliati in giro per l'Italia. In quell'occasione conobbi l'amico Roberto Fiocca che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare: quante riflessioni condividemmo negli anni! Ultimate le riprese, salutai tutti e mi ritirai per svariati giorni e notti nello stesso rifugio per assorbire in ogni infinitesimale cellula, in ogni respiro, palpito del cuore, l'essenza di un uomo e il suo messaggio; cibandomi come lui di erbe e radici, attingendo acqua alla sorgente, assimilando albe e tramonti, e su quel giaciglio, notti, notti indimenticabili… 

Lasciai anche delle foto di Moulin (sparite!) e un quaderno che negli anni, è andato infittendosi di testimonianze e firme dei vari avventori, anche stranieri, colmi di gratitudine, ammaliati… Ma questi sono ricordi e quindi andiamo al dunque: il rifugio prima o poi, potrebbe crollare di nuovo a causa di infiltrazioni dal tetto e per una, due travi pericolosamente incrinate. Ne parlai qualche anno fa con il Sindaco e il Presidente del Parco Giuseppe Rossi, ma tutto è rimasto come prima e gl'inverni si succedono agli inverni, e la neve si accumula e pesa su quel fragile tetto! Son tornato su quei monti, come attratto da una calamita potente, dalle voci di allettanti sirene, e ho girato un altro documentario "Tutta la luce delle Mainarde" per Geo&geo, cercando di fermare la meraviglia cangiante della luce che tanto ha attratto il pittore e lo ha convinto a fermarsi in Molise sino a morire in questa terra. Le sue ossa raccolte in una cassetta, riposano nel cimitero di Castelnuovo. RIPROPONGO: perché non apportare nell'immediato alcune riparazioni al rifugio? Perché non tumulare i resti di Moulin in montagna o lungo il sentiero che porta lassù? Magari accanto ad un cippo, una statua stilizzata che ritrae il pittore all'opera? Perché non dedicare il sentiero all'artista intitolandolo a suo nome? 

Credo sia finalmente giunto il tempo di un atto dovuto, concreto, una dimostrazione di gratitudine nei riguardi di un uomo che rinunciando a fama e onori, scelse la nostra regione per restarci per sempre! Una testimonianza e un esempio… Ciò ad evitare che i Convegni (pur necessari) si riducano soltanto in parole e autocelebrazioni. Come quelli sui tratturi, altra peculiare risorsa del Molise, da me percorsi in lungo e in largo in tempi insospetti per chilometri, con lo scopo di attirare l'attenzione su questi particolarissimi, unici tracciati storici, che continuano ad essere asfaltati, dati in concessione, cancellati, nonostante riconosciute, rigide norme di salvaguardia. Perché non fare uno sforzo? Perché rinviare ancora una volta? Accontentarsi del poco o niente? Perché non smentire il detto e stile di vita così consoni ai molisani, gente comune e politici: "Làssa stà u' 'munn cumm z' trova!" . Lascia stare il mondo come si trova…

di Pierluigi Giorgio

domenica 7 aprile 2013

M'ssiu Mulà - Moulin e il Molise


Rotary Club Isernia per sabato 13 aprile 2013 alle ore 18 presso la Sala Convegni della Camera di Commercio d’Isernia, in corso Risorgimento 302, per ricordare la figura di Charles Moulin ed il suo amore per la nostra terra, dal titolo “M’SSIU MULÀ - Charles Moulin ed il Molise”, tratto dal un documentario creato dalla dott.ssa Enrica Orlando per la sua tesi di laurea che sarà presentato per la prima volta in città. A commentare il documentario ci saranno il prof. Natalino Paone, già sindaco di Scapoli e frequentatore di Moulin, nonché organizzatore dell’unico evento pubblico dedicato a questo artista nel lontano settembre 1969 a Rocchetta, il pittore Peppino di Marco, che ha frequentato l’artista con suo padre, anche lui pittore, e l’avvocato Roberto Fiocca, già sindaco di Castel di Sangro e maggior collezionista delle opere di Moulin. L’evento sarà aperto a tutti coloro che hanno conosciuto ed interagito con questo originale artista e vorranno portare la loro testimonianza del suo amore per le montagne del Molise. 

Da questo link un frammento del documentario di Enrica Orlando

giovedì 4 aprile 2013

De Notariis - Finelli - artisti molisani fuori regione


Capillari all'uncinetto - Emanuela de Notariis
galleria H2O ART SPACE
Bologna
20 Aprile - 11 Maggio

INAUGURAZIONE: sabato 20 APRILE h 18.00

La pittura di Emanuela de Notariis è chirurgia che estrae cuori, per farli diventare scettri nelle mani di potentissime regine, sovrane del proprio io interiore, pimpanti sacerdotesse della linea e del colore. 

Il suo è un universo quasi tutto femminile, che cerca l’armonia alchemica tra materia e spirito, umano e animale, felicità e dolore, pesantezza del passato e leggerezza del futuro. E in cui i cuori sono simbolo trionfante di un avvenuto percorso di conoscenza di sé, secondo il principio che “colui che conosce sé stesso arriva al bene perfetto”. Ogni piccola tragedia esistenziale diventa così splendore.

Durante la serata di apertura, una performance, un gioco: i disegni dell’artista, accompagnati da testi di Luca Mastrangelo, diventano carte, fintamente divinatorie. Come i tarocchi non predicono il futuro, ma aiutano a far chiarezza sull’io, così le sue carte invitano ad una possibile lettura sentimentale delle vicende di chi si presta al gioco. 

H2O Art Space 
Via Sant’Isaia 80/a
Bologna
Tel. 333 4738353
e-mail: h2oartspace@gmail.com

Apertura: 
martedì - venerdì, 16.00 - 20.00 o su appuntamento


"Antonio Finelli L'Osservatore del Tempo"

Esposizione Personale a cura di Franco Fonzo.
Catalogo e critica a cura di Roberta Gubitosi con presentazione di Mimmo Paladino.

Galleria Web Art 
Barchessa Villa Quaglia, Viale XXIV Maggio 11 – Treviso
inaugurazione 20 aprile ore 18.00

Nelle sue opere Antonio Finelli riflette sul significato del tempo che inesorabilmente lascia le sue tracce sul nostro corpo. Una serie di volti scorre di fronte all'osservatore, ognuno con la fisionomia, l'espressione e il vissuto personali. Con un punto di vista ravvicinato l'artista si sofferma sui dettagli attraverso lo scrupoloso procedere dei segni della matita, che in base alla pressione del gesto definiscono i caratteri nei singoli particolari, quasi a voler ripercorrere il tempo passato. Sebbene i soggetti siano spesso persone conosciute, scompaiono i riferimenti al contesto, all'identità, allo status, e ai ruoli ed emerge la necessità di cogliere l'uomo nell'essenziale rapporto con il tempo. L’uomo è rappresentato nell'unità e al contempo nella moltitudine in una sequenza ininterrotta di immagini che registrano un processo continuo nella linea del tempo. La ricerca e la perizia tecnica riescono a sviluppare le infinite possibilità grafiche, chiaroscurali e pittoriche della grafite, infondendo a ogni volto un'insolita forza realistica, accompagnata a un'immediatezza comunicativa data dal taglio fotografico. Nel carattere prettamente grafico delle sue opere, Antonio Finelli sviluppa una ricercata e raffinata cromia di grigi e di bianchi, capace di registrare anche le minime e sottili variazioni di luce. 
Nella successione dei volti, la pelle si fa linguaggio, espressione, racconto. Intesa come superficie/limite, la pelle è capace di manifestare ed esternare i segni del tempo; è la nostra parte visibile e tangibile che registra i cambiamenti dell’esistenza, inventariandone ogni traccia come fosse un catalogo infinito. In questo senso rivela la storia di un individuo, i suoi drammi e le sue gioie; ne tradisce le emozioni più profonde. Solo alcune poi vengono scelte dalla mente razionale per divenire ricordi, in base all'intensità emozionale generativa a cui sono legate, in positivo o in negativo. Quindi la pelle, nella sua essenza di membrana e di confine diviene interfaccia del rapporto tra uomo e mondo. In tale relazione gli occhi, tradizionalmente specchio dell’anima verso l'esterno, riflettono al contempo le immagini del mondo all'interno. 
La pelle, piena di segni e di esperienze nascoste, quindi si esprime attraverso un proprio linguaggio, non verbale, che si può conoscere nel momento in cui l'artista comincia a registrarne e indagarne i particolari. Ogni volto con la sua superficie corruttibile e mutevole diviene una sorta di pagina scritta attraverso un linguaggio solo apparentemente incomprensibile. Nel lento processo grafico, Antonio Finelli sembra voler scrutare e decodificare quei segni come tracce che l'inesorabile trascorrere del tempo ha registrato sulla superficie dei volti, invitando il fruitore a leggere, interpretare la superficie come specchio del vissuto. Decidere di imparare quel linguaggio significa cercare di capire il proprio corpo. Così il segno viene a essere voce in un autoritratto in cui la pelle racconta il proprio passato, la propria storia.

Roberta Gubitosi


mercoledì 3 aprile 2013

Il blog di Vincenzo Merola

Compie un anno il blog dell'artista Vincenzo Merola, blog volutamente aniconico pur affrontando argomenti spinosi come possono essere quelli legati all'arte contemporanea, blog incredibilmente ricco di spunti e riflessioni di qualità, grazie anche alla rubrica "Tre domande". E' raro trovare oggi un sito personale che possa vantare la coerenza e l'autorevolezza di una rivista specialistica, pertanto è oltremodo consigliato.

Un blog senza immagini per immaginare l'arte

"Piccoli esercizi di straniamento per una visione trasversale dell'arte e della cultura contemporanea", il blog di Vincenzo Merola, festeggia il suo primo compleanno. Il primo sito di arte contemporanea senza immagini, ospita nelle sue pagine soltanto parole: nient'altro che nero su bianco. La rinuncia all'utilizzo delle immagini vuole rappresentare un invito a non considerare il web semplice strumento per una fruizione visiva mediata e passiva, ma spazio aperto per la critica e per l'approfondimento. La speranza è che si torni con maggiore entusiasmo a cercare immagini nei musei, nelle gallerie e negli studi degli artisti. Una civiltà che non si misuri quotidianamente con le tradizionali modalità di condivisione culturale, basate su concreti processi di socializzazione, su complete esperienze sensoriali e sulla diretta conoscenza del mondo naturale e dei prodotti dell'ingegno umano, non sarà mai in grado di apprezzare e sfruttare pienamente le potenzialità delle nuove tecnologie e della multimedialità.
Nel primo anno di attività, attraverso la rubrica "Tre domande", il blog ha ospitato conversazioni con artisti, critici e curatori, tra i quali: Lamberto Pignotti, Sarenco, Michele Dantini, Luc Fierens, Gian Paolo Guerini, Marcello Faletra, Davide W. Pairone, Carlo D'Orta, Luigi Paolo Finizio, Giulia Brivio, Carlo Colli, Eloise Ghioni. Ogni post cerca di suggerire inediti percorsi di senso commentando mostre, analizzando opere, approfondendo tematiche di carattere interdisciplinare, mettendo in luce le connessioni tra comunicazione visiva e comunicazione verbale, spaziando tra arte, letteratura, filosofia, antropologia, architettura, musica e cinema. Si è discusso (e si continuerà a discutere), fra l'altro, di: Achille Bonito Oliva, Adriano Spatola, Andy Warhol, Arte povera, Arthur Coleman Danto, Biennale di Berlino, Biennale di Venezia, Boîte, Bruce Nauman, centro/periferia, Damien Hirst, decrescita, Documenta, Eternal Network, Ettore Spalletti, Eventualismo, Filippo Tommaso Marinetti, Fiona Tan, Fluxus, Friedrich Wilhelm Nietzsche, Fuoriuso, Germano Celant, Giacinto Di Pietrantonio, Gino Marotta, Giovanni Battista Piranesi, Giuseppe Chiari, Gnam, Gruppo 70, Gutai, Hennessy Youngman, identità, Istituto nazionale per la grafica, Italo Calvino, Jackson Pollock, Jean Tinguely, John Cage, Julian Spalding, Kazimir Malevič, Le Stelle di Mario Schifano, Lorenzo Ornaghi, Lotta poetica, Luca Rossi, Ludovico Pratesi, Lynda Benglis, MACRO, Mail Art, Marco Tirelli, Marino Auriti, Mario Airò, Mario Schifano, Massimiliano Gioni, Maurizio Cattelan, Maurzio Ferraris, MAXXI, MiBAC, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Paladino, Moderna Museet, Monia Trombetta, Morgan Fisher, Museo Carlo Bilotti, Nadir Afonso, New Realism, Niki de Saint Phalle, Paul De Vree, Pierluigi Sacco, pittura, poesia visiva, politica, postmodernità, pubblico, Roberto Ago, Roland Barthes, Sal Randolph, Serge Latouche, Shay Frisch, Situazionismo, Stefano Taccone, Tate, The Family Business, Transavanguardia, Umberto Eco, valore, Vistamare, Yoko Ono, Yves Klein, Zaha Hadid.

Vincenzo Merola

Paolo Emilio Greco - Ri_serve


Si torna a parlare di arte e di riciclo alla Palladino Company. Una nuova mostra a tema apre mercoledì 3 aprile alle 19. Protagonista il molisano Paolo Emilio Greco di Montorio nei Frentani ma operativo a Campobasso dopo le esperienze scolastiche e universitarie rispettivamente a Modena e Foggia (laurea con lode all’Accademia di belle arti). Paolo ha 49 anni, il suo innato spirito artistico, la sua straordinaria sensibilità per l’ambiente e l’arte contemporanea, emergono finalmente appieno nell’open space dell’Azienda per le Arti di Campobasso in un contesto spazio-temporale denominato Ri_serve. In tutto una trentina di opere, sei gli assemblaggi che ridanno vita a oggetti abbandonati, scartati, trovati casualmente in cantina o in spiaggia, le altre sono singolari opere polimateriche in cui Greco sviluppa l’anticonvenzionalità di oggetti ormai desueti e cancellati dalla memoria e ne trae un elemento tutto nuovo. La funzionalità originaria del singolo pezzo di legno o del vestito dismesso viene manipolata intimamente in qualcos’altro, usando il filtro della creatività e donando al lavoro un senso di curiosità e di mistero che assai spesso lascia interdetto e piacevolmente sorpreso il fruitore. Disegnare un nuovo percorso a un oggetto inservibile è la missione di un artista che, dopo aver assimilato senza forzature i canoni propri dell’artista vero, si annuncia al pubblico come una statua cui viene tolto il velo. L’arte del riciclaggio è vissuta da Greco come una tappa necessaria dell’esistenza. L’esigenza di assimilare rapidamente ognuno nel proprio ambito territoriale, professionale e vitale i valori alla base del sistema ecologico mondiale rimette in gioco gli artisti e gli uomini che danno al tempo e alla materia viva un significato profondo che fa da contraltare al culto del possesso proprio di chi avidamente usa, abusa e getta via, intasando lo sfogo naturale di ogni cosa. ‘Cerco un’altra estetica possibile – spiega Greco – Riporto alla luce e riutilizzo oggetti apparentemente morti. Per esempio ferro, viti, chiodi, plastiche, vetro, stracci, pietre. E anche toner e vernici di scarto, pigmenti naturali, catrame liquido, spezie, che acquistano così un valore espressivo, ridiventano materia riscattati nella loro pura potenzialità espressiva. Nel processo di trasformazione lascio a vista le imperfezioni, le spaccature, gli strappi e le bruciature, trasformandoli piuttosto in flusso di sensazioni visive e tattili, nella possibilità di intravedere o scoprire il bello, o semplicemente innescare un altro punto di vista”. Il tentativo di Greco è insomma quello complicato ma necessario e affascinante di togliere erosione al tempo. Perché tutto ri-serve, tutto è ancora vivo e utile. (mc us)
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